Penso in particolare al modo col quale attualmente si comincia l’
insegnamento della geometria, con una serie di definizioni che non definiscono niente e delle pseudo dimostrazioni
che non resisterebbero all'analisi logica. Si crede che sia un disonore non poter presentare agli allievi una
teoria completamente deduttiva a partire da assiomi fondamentali; dato che ciò è troppo difficile
ad un livello elementare, si giudica preferibile darsi a dei vaniloqui intellettuali, piuttosto che riconoscere
francamente la situazione". (S. Dieudonne)
Note di storia
della geometria.(Attilio Fraiese, Silvio Maracchia: Corso di Geometria per l’istituto
Magistale; aprile 1972)
l. LINEAMENTI DELLA GEOMETRIA PRE-ELLENICA
Secondo le concordanti antiche testimonianze, che risalgono al grande storico Erodoto, vissuto nel V secolo a. C., e che proseguono attraverso Erone, Strabone, Proclo (quest’ultimo del V secolo d. C.}, la geometria nacque in Egitto dall’esigenza di restituire agli agricoltori un campo equivalente a quello già posseduto, dato che il Nilo, il grande fiume, operava erosioni lungo le sponde, o addirittura, durante le sue piene, cancellava i confini delle proprietà.
Anche Platone (427-347 a. C.} e Aristotele (384-322 a. C.) fanno, direttamente o indirettamente, risalire agli Egiziani l’invenzione della geometria, che d’altronde conserva nel suo nome l'origine che i Greci attribuivano a tale scienza:"geometria" infatti, dal greco, vuoi dire "misura della terra". Ciò non toglie che assai probabilmente vi sia stata una geometria anche più antica di quella egiziana, almeno come intuizione e rappresentazione schematica e artistica della realtà. Abbiamo d’altronde precise testimonianze di una geometria babilonese che risale quasi sicuramente ad una civiltà ancora precedente, di cui i Greci ignoravano l’esistenza.
In molte tavolette infatti, scritte in caratteri cuneiformi, si trovano calcoli di aree e di volumi, che presuppongono conoscenze geometriche. I caratteri di queste antiche geometrie (pre-elleniche} sono essenzialmente pratici. Le figure geometriche sono, ancora legate ad una rappresentazione materiale, senza quell'astrazione razionale, che costituirà il più importante motivo della geometria greca. La geometria appariva più che altro come ancella dell’aritmetica, nel senso che forniva occasione per la risoluzione di problemi aritmetici: ed è appunto nel campo dell'aritmetica (ed anche, può dirsi, dell'algebra} che la matematica pre-ellenica raggiunge il più alto grado di progresso.
2. GLI INCOMMENSURABILI E LA GEOMETRIA RAZIONALE
Tutte le fonti sono concordi nell'attribuire a Talete di Mileto (624-548 a. C. ?} il merito di aver portato in Grecia, dai suoi viaggi, la matematica e in particolare la geometria. Riguardo alla geometria, anzi, si attribuisce a Talete (che fu anche filosofo, astronomo, naturalista, tanto da essere considerato uno dei sette savi dell'antica Grecia), un’indagine più approfondita che cercasse forse di trarre considerazioni generali dalle frammentarie conoscenze di allora. Così si attribuisce a Talete la dimostrazione di alcune proprietà, ma è chiaro che una tale dimostrazione nori può intendersi nel senso che oggi noi diamo ad essa e cioè come conseguenze logiche tratte da proprietà semplici poste come base dell'intera trattazione. Probabilmente la dimostrazione di Talete si riferivà a certe considerazioni evidenti di simmetria e di regolarità che pur sempre rappresentano progressi nella via della razionalità della geometria.
Con Pitagora (580-500 a. C. ?) e con i suoi discepoli la geometria subisce una notevole trasformazione, dovuta alla sconvolgente scoperta di grandezze tra loro incommensurabili, cioè di quelle grandezze che, pur essendo della stessa specie, non possono avere un sottomultiplo comune, vale a dire che non possono essere misurate (per questo sono dette incommensurabili) esattamente da una stessa grandezza.
La prima coppia di grandezze tra loro incommensurabili che venne trovata fu quella formata da un lato di un quadrato e dalla sua diagonale. Aristotele già parla di questa scoperta come di un risultato acquisito che aveva cessato di meravigliare i matematici del tempo. Molto probabilmente, comunque, si raggiunse la coscienza dell’impossibilità di trovare un sottomultiplo comune al lato e alla diagonale di uno stesso quadrato dall’osservazione (fatta forse nella scuola pitagorica) che il doppio di un numero quadrato non può essere un numero quadrato e che invece si raddoppia un quadrato geometrico assumendone la diagonale come lato di un nuovo quadrato.
La scoperta delle grandezze incommensurabili modificò, come abbiamo detto, la concezione degli enti geometrici. In un primo stadio, il punto venne considerato dalla scuola pitagorica, che fu la prima ad occuparsi di tali argomenti, come un piccolissimo granellino materiale ma indivisibile, un atomo (dato che atomo vuoi dire appunto, dal greco, indivisibile). I Pitagorici chiamavano questà particella mònade, parola che significa unità.
Aristotele, anzi, nella presentazione che ci ha tramandato sulle antiche concezioni filosofiche, ci racconta che i Pitagorici basavano tutta la loro concezione fisica e metafisica sulla mònade. Ogni cosa per i Pitagorici, era formata da queste mònadi che a seconda della quantità e della disposizione formavano la realtà naturale che ci appare in tutta la sua variet.
Come si vede, si tratta di una concezione che, andando un poò contro il senso comune ed essendo al di fuori della possibilità dei nostri sensi, ha un carattere razionale (basato cioè sulla ragione e non sull'esperienza} ed esprime nello stesso tempo una fiducia nella natura 1ogica e matematica dell’universo (come ebbe ad esprimere tanti secoli più tardi anche Galileo).
Gli enti geometrici erano costituiti per i Pitagorici da tali punti, da tali punti-mònadi. La retta era dunque una specie di collana costituita da un enorme numero di perline (i punti-mònadi) poste in fila, una dietro l'altra. Un numero enorme ma tuttavia finito; ne viene di conseguenza che, presi due segmenti qualunque, questi dovrebbero essere sempre commensurabiliù; infatti nel caso estremo, il punto-mònade sarebbe una unità di misura comune ai due segmenti. E’ questa la struttura granulare della linea.
L 'esistenza di linee incommensurabili, quindi, mise in crisi la concezione geometrica (e anche cosmologica) della scuola pitagorica, tanto che sorse la leggenda che allorché tale esistenza si affacciò, venne proibito ai Pitagorici di divulgare la notizia, per non seminare, probabilmente, il discredito sulla matematica.
Quello che però dovette apparire ai primi Pitagorici (la scuola pitagorica si estese con varia fortuna per vari secoli) come una macchia, un difetto, della matematica, determinò al contrario un notevole passo avanti nella concezione razionale della geometria. Infatti se il punto non poteva avere dimensioni, doveva essere concepito come un ente astratto. La geometria acquista dunque quella caratteristica che ancora oggi possiede: i punti sono privi di dimensioni, le linee prive di larghezza, le superficie prive di spessore. In definitiva si passa alla geometria di precisione, al di fuori di una rappresentazione materiale sempre imperfetta. Tale geometria razionale ha dunque origine da quella antica crisi della teoria granulare pitagorica.
3. IL PERIODO PRE-EUCLIDEO
Come s’è veduto in un paragrafo precedente, la geometria greca ha inizio intorno al 600 a. C., con la sua introduzione dall’Oriente per opera di Talete di Mileto. Tre secoli dopo, intorno al 300 a. C., il matematico Euclide (Euclide geomètra, come lo chiama Dante) compone il suo celebre trattato Gli Elementi, nel quale espone e sistema l'opera dei suoi predecessori, costituendo così il punto d’arrivo della matematica elementare greca.
Nel secolo seguente (300-200 a. C.) giungeranno al loro apogeo, inoltre, le matematiche superiori della civiltà greca, con i due grandi matematici Archimede e Apollonio.
Il periodo trisecolare che da Talete giunge fino a Euclide è dunque della massima importanza, poiché è in esso che dalla geometria materializzante preellenica Si giunge alla magnifica sistemazione euclidea, attraverso un incessante sviluppo delle idee. Tenendo conto del punto d'arrivo, si suoI chiamare pre-euclideo il suddetto periodo (600-300 a. C.).
Già abbiamo veduto che verso il 500 a. C., cioè alla fine del primo secolo del periodo pre-euclideo, assai probabilmente avvenne nella scuola pitagorica la scoperta di linee incommensurabili (lato e diagonale del quadrato), la quale condusse necessariamente all'idealizzazione degli enti geometrici (punto senza dimensioni, linea senza larghezza, superficie senza spessore), idealizzazione che segnò l'inizio della vera geometria di precisione, distaccata dagli enti materiali. Del suddetto periodo pre-euclideo vogliamo considerare qui alcuni matematici, sui quali si hanno piò certe notizie: Ippocrate di Chio (vissuto nella seconda metà del secolo V a. C., da non confondere con l'omonimo Ippocrate di Coo, il celebre medico e fisiologo); Democrito di Abdera (460-360?, a. C.); Eudosso di Cnido (vissuto nel IV secolo a. C.:contemporaneo di Platone). Per quanto ci è permesso di sapere dalle fonti rimaste, Ippocrate di Chio è legato allo sviluppo della matematica sotto tre importanti aspetti. Anzitutto sembra che Ippocrate di Chio sia stato il primo matematico ad aver organizzato i risultati geometrici
in una trattazione organica e logica del tipo di quella che Euclide mostrerà nei suoi Elementi, a loro volta modello di quasi tutti i trattati di geometria elementare usati per secoli in tutte le scuole del mondo. Inoltre Ippocrate di Chio (a quanto racconta un commentatore di Archimede, Eutocio d’Ascalona), sarebbe stato il primo matematico a indicare la via per risolvere un difficile problema: cioè quello relativo alla duplicazione del cubo. Infine ad Ippocrate di Chio viene attribuita la quadratura delle lùnule, cioè la costruzione di poligoni equivalenti a certe figure curvilinee (dette appunto lùnule) limitate da due archi di cerchi di diverso raggio.
Diamo un esempio di questo risultato, indicando con la zona colorata in rosso sia la lùnula sia il triangolo ad essa equivalente.
Il filosofo Democrito di Abdera fu anche grande matematico. A parte la sua vanteria di aver superato gli stessi arpedonapti egiziani (arpedonapti, letteralmente "annodatori di corde" ad indicare probabilmente il sistema con cui i matematici egiziani misuravano la terra), abbiamo una preziosa testimonianza di Archimede : chi per primo mostròò che un cilindro è triplo del cono di uguale base e uguale altezza (e similmente per il prisma e la piramide) fu proprio Democrito (anche se, aggiunge Archimede, la vera dimostrazione fu poi data da Eudosso). Dobbiamo intendere che Democrito cercò di dare una certa dimostrazione delle suddette proprietà pur senza soddisfare il rigoroso Archimede. Da un cenno di Plutarco si può pensare che per la dimostrazione Democrito si fosse servito, anche se non troppo rigorosamente, di procedimenti di matematica infinitesimale che saranno resi rigorosi solo molti secoli più tardi. Questo dà la esatta sensazione del valore intuitivo di Democrito, che a ragione viene perciò considerato uno dei più grandi matematici del periodo pre-euclideo.
Eudosso è il terzo grande matematico che ha preceduto Euclide, colui che riuscì ad affrontare e risolvere molti problemi della matematica del suo tempo: questa si era imbattuta infatti nell'infinito (sia per la scoperta delle grandezze incommensurabili, sia per la necessità di dimostrare alcune regole sulle aree e sui volumi). Abbiamo già visto che, secondo la testimonianza di Archimede, fu proprio Eudosso a dimostrare rigorosamente alcune relazioni tra solidi, quelle stesse che poi si troveranno negli Elementi di Euclide.
Si tratta del famoso metodo di esaustione in cui si possono trovare intuizioni di matematica moderna, essendo giunto Eudosso alle soglie del concetto di limite che è stata una delle più importanti conquiste matematiche di questi ultimi secoli.
AI "divino Eudosso" (così lo chiama in una lettera il matematico Eratostene) risale anche una definizione rigorosa di proporzione tra grandezze come uguaglianza di due rapporti, origine della moderna teoria dei numeri reali.
Senza dare spiegazioni particolareggiate sui vari metodi usati da Eudosso, si può comunque, da queste semplici indicazioni, ricavare l’impressione del grande valore di questo matematico il quale riuscì appunto a superare i più gravi ostacoli della matematica del suo tempo, spianando così la strada a quell'opera di sintesi che sarà fornita dagli Elementi di Euclide.
4. LA GEOMETRIA DI EUCLIDE
Per tre secoli i matematici greci, da Talete in poi, avevano accumulato proprietà geometriche, teoremi, costruzioni ed avevano già iniziato ad ordinare in maniera organica tutto il materiale a loro disposizione. Sappiamo, infatti, per la testimonianza del neo-platonico Proclo, che Ippocrate di Chio per primo, e successivamente altri matematici tra cui Leone e Teudio, avevano iniziato a costruire gli Elementi di geometria, cioè proprio una trattazione organica delle proprietà geometriche.
Ma Il matematico che diede un'organizzazione pressoché perfetta a tutta la materia elementare, creando Elementi che oscurarono tutti i precedenti, fu Euclide di Alessandria.
Pochissimo si conosce della vita di questo grande matematico greco che visse in Alessandria al tempo del re Tolomeo I, e cioè attorno al 300 a. C.: ciò anche perché nella sua opera Euclide evita qualunque riferimento personale e non indugia a precisare ne a chi siano dovuti i teoremi che via via espone né quali di questi siano proprio opera sua.
Per dare un’idea del grado di rigore raggiunto da Euclide ricordiamo che, anche se nell’unanimità dei consensi vi è stata durante i secoli qualche critica sia per quanto riguarda il metodo didattico, sia per qualche piccolo "neo", solo nel 1899, anno della prima edizione dei Fondamenti della geometria di David Hilbert (1862-1943), si può dire che gli Elementi furono superati per quanto riguarda il rigore. Ci sono voluti più di duemila anni! Non bisogna meravigliarsi, quindi, se ancora oggi l'opera euclidea influisce sull'insegnamento, anche se è in corso un vasto movimento di rinnovamento didattico nel senso di un allontanamento da Euclide.
L'opera di Euclide è composta di tredici libri: i primi sei si occupano di geometria piana, i tre seguenti della teoria dei numeri interi (quella che noi oggi denominiamo "aritmetica razionale"), il decimo libro è dedicato alla teoria degli irrazionali e gli ultimi tre si occupano prevalentemente di geometria solida. Si tratta, come abbiamo detto, della sistemazione rigorosa dei vari risultati che si erano via via ottenuti sia nella geometria che nell’aritmetica.
Non bisogna pensare però che Euclide abbia cercato di inserire nei suoi libri tutte le conoscenze matematiche che erano state raggiunte ai suoi tempi: in realtà Euclide fece una scelta molto accurata delle proprietà che inserì negli Elementi: non solo perchè considerò solo quelle che gli permisero la costruzione dell'edificio senza inutili deviazioni, ma anche perché evitò, si può ben dire deliberatamente, ogni riferimento a formule di misura (di aree o di volumi), ad applicazioni pratiche di qualsiasi tipo e ogni riferimento a strumenti di qualsiasi tipo (riga, compasso...).
In questa economia nella materia esposta (si pensi che Euclide non fa alcun riferimento alle pur importanti lunule di Ippocrate di Chio, o alle sapienti costruzioni di Archita di Taranto ed a molti altri procedimenti già noti ai suoi tempi) bisogna probabilmente intendere il desiderio di giungere per la via più breve al risultato finale, cioè alla costruzione di quei poliedri regolari che tanta parte avevano avuto nella cosmologia pitagorica e platonica (una via che non può tuttavia essere ne comoda ne accomodabile, come sembra dicesse lo stesso Euclide al re Tolomeo).
Platone aveva già osservato, e Aristotele aveva esplicitamente indicato, che la matematica pone alla base di tutta la sua trattazione alcune proprietà su cui costruire tutte le altre, e per questo indimostrabili. Ed Euclide segue proprio questa via. Nel primo libro, infatti, dopo aver definito gli enti della geometria piana, Euclide enuncia i cinque famosi Postulati che sono appunto le prime e più semplici proprietà tra gli enti definiti, e nove Nozioni comuni, cosiddette perché valide per qualsiasi scienza e non solo per la geometria in particolare (oggi sia i postulati sia le Nozioni comuni vengono unificati: sono detti assiomi).
Va tuttavia osservato che la struttura logica della trattazione euclidea, considerata alla luce delle moderne esigenze, è ben lungi dall’essere perfetta. Vi si possono infatti rintracciare molti ricorsi all’intuizione, cioè ricorsi a postulati inespressi: ciò costituisce senz’altro una grave imperfezione.
Ma Euclide ritiene realmente esistenti gli enti geometrici (in un mondo a mezza altezza, tra quello materiale a quello delle Idee platoniche), quindi considera come fatti veri le proprietà che li riguardano. Così ancora le sue definizioni hanno carattere puramente descriltivo, nel senso che appunto descrivono oggetti esistenti.
I n tal modo si spiega il fatto che Euclide "definisca" tutti gli enti: compresi il punto e la linea. Oggi, invece, il matematico sa che non può tutto definire, dal momento che la definizione è per lui una sorta di costruzione del pensiero, la quale si basa su definizioni precedenti: è necessario pertanto assumere concetti primitivi (tali, ad esempio, quelli di punto e di linea), cioè concetti che non vengono, ne possono essere, definiti, per il semplice fatto di essere i primi, cioè di non avere " concetti precedenti" sui quali basarsi.
5. TEORIA DELLE PARALLELE IN EUCLIDE
La teoria delle parallele è uno degli argomenti principali della geometria elementare: ad essa sono legati molti importanti risultati e, storicamente, ad essa è legato l0 sviluppo moderno della logica dei principi, cioè di quella logica che si occupa dei fondamenti di una scienza e della loro validità.
Può sembrare strano questo collegamento tra argomenti apparentemente cosi lontani: eppure se molte idee si sono chiarite riguardo al significato autentico di scienza assiomatica, questo si deve alla teoria delle parallele, la quale ebbe inizio ancor prima di Euclide, ma che si impose all'attenzione degli studiosi da quando essa comparve negli Elementi.
Vediamo allora come Euclide affronta la teoria delle parallele. Anzitutto egli dà la definizione di rette parallele come "quelle rette che, essendo nello stesso piano e venendo prolungate illimitatamente (1) dall’una e dall’ltra parte, non s’incontrano fra loro da nessuna delle due parti".
Strettamente legata alla teoria delle parallele è poi il quinto postulato, l'ultimo postulato che Euclide premette a tutta la sua trattazione, e che va anche sotto il nome di "postulato delle parallele". Se una retta venendo a cadere su due altre rette forma gli angoli interni dalla stessa parte (cioè gli angoli coniugati interni) minori di due retti (cioè tali che la loro somma sia minore di un angolo piatto), le due rette prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui sono gli angoli minori di due retti (cioè la cui somma è minore di un angolo piatto).
In altre parole il postulato di Euclide consiste nello stabilire, nell'accettare, nel premettere, che se la somma degli angoli a e b è minore di un angolo piatto, le rette r ed s si incontrano proprio dalla parte degli angoli a e b.
Vedremo come questo postulato si leghi alla teoria delle rette parallele: per ora osserviamo che nella 27a proposizione e nella 28a (entrambe del libro primo) Euclide mostra l’effettiva esistenza delle rette parallele facendo vedere che due rette sono tali quando, tagliate da una trasversale, formano angoli alterni interni, o corrispondenti uguali, oppure angoli coniugati interni supplementari. E poiché in una precedente proposizione Euclide aveva mostrato come poter costruire un angolo uguale ad un angolo dato e con un Iato assegnato (proposizione 23 a), ecco la possibilità di costruire rette parallele e quindi nello stesso tempo la sicurezza della loro esistenza.
Infatti, data una retta qualsiasi r e considerata un’altra retta t incidente la prima, si indichi con a uno degli angoli formati dalle due rette: basta allora costruire un altro angolo uguale ad æ e avente un lato sulla t per ottenere una retta (s nella figura) parallela alla r.
Euclide vuole ora invertire il teorema dimostrato con le proposizioni 27 a e 28 a; vuole cioè dimostrare che una trasversale che incontra due rette parallele forma angoli alterni e corrispondenti uguali e coniugati supplementari; ed è questa la 29 a proposizione.
Per dimostrare questo teorema Euclide deve applicare (per la prima volta) il quinto postulato. Probabilmente proprio per la necessità di dimostrare questa proprietà inversa con pieno rigore Euclide, senza cadere nella suggestione dell’intuizione, è costretto a chiedere che venga accettata la proprietà espressa dal postulato quinto.
È costretto, abbiamo scritto, poiché dalla lettura dell’opera di Euclide possiamo ragionevolmente pensare che egli abbia cercato di ritardare il più possibile l'applicazione del postulato: come ad indicare, data l’evidenza della proprietà espressa da questo, che forse sarebbe stato possibile (anche se ciò non gli era riuscito) presentarlo come proprietà dimostrabile (teorema) e non come postulato.
Da questo imbarazzo e da questa implicita indicazione di Euclide, nacque il desiderio nei matematici successori, attraverso i secoli, di dimostrare appunto il quinto postulato di Euclide attraverso i primi quattro e le proprietà derivanti da questi. Questa è dunque la "questione delle rette parallele". Molti matematici, anche valenti, pensarono di aver raggiunto lo scopo, ma in realtà non si accorgevano di sostituire al postulato di Euclide qualche altra proprietà, magari apparentemente più evidente, sostanzialmente equivalente al postulato stesso (2).
Ma lentamente, attraverso i risultati raggiunti da Saccheri (1667-1733), Gauss (1777-1855), Bolyai (1802-1860) e Lobacevskij (1793-1856) si arrivò alla convinzione che il quinto postulato fosse indipendente dai precedenti e che fosse possibile costruire un’altra geometria, ugualmente rigorosa, che lo contraddicesse.
L’importanza di tale conclusione è notevole: sino ad allora la geometria aveva rappresentato una verità e come tale doveva essere l’unica geometria possibile. Ora invece con la scoperta di altre possibili geometrie, geometrie che vennero chiamate non-euclidee, si giunse ad un concetto relativo della verità geometrica, fondata solo sulla scelta di proprietà ammesse una volta per tutte, cioè sulla scelta dei postulati (oggi detti assiomi), con l’unica condizione della non contradditorietà di essi.
Tutto questo servì anche a chiarire, come avevamo detto, il concetto di scienza razionale e impose uno studio logico e sistematico dei princìpi da porre a base di essa.
Per dare un’idea della complessità di tale studio osserviamo solo che esso è tutt’altro che concluso, ma che anzi costituisce uno dei più importanti problemi della matematica moderna.
6. LA GEOMETRIA GRECA DOPO EUCLIDE: ARCHIMEDE E APOLLONIO
Nei suoi Elementi Euclide aveva esposto quella matematica che oggi è detta elementare: geometria piana e solida e aritmetica razionale. Ciò non toglie che anche ai suoi tempi la geometria aveva raggiunto traguardi, diciamo così, superiori; lo stesso Euclide in opere non pervenuteci si era infatti occupato delle coniche, cioè dell’ellisse, della parabola, dell’iperbole.
Ma particolarmente dopo Euclide, le ricerche dei matematici greci si rivolsero
ad alcune figure solide che erano state poco trattate negli Elementi (come la sfera e il cilindro), o non trattate affatto, oppure a quelle coniche di cui abbiamo già fatto cenno.
Poco dopo Euclide la matematica greca si arricchisce di una grande personalità : Archimede di Siracusa (287-212 a. C.), il più grande genio scientifico dell'antichità, se non addirittura di tutti i tempi.
Archimede, al contrario di Euclide, non disdegna di occuparsi di problemi pratici e tecnici e di calcolare le misure delle figure geometriche di cui studia le proprietà : anzi uno dei risultati più importanti che raggiunge è proprio un'ottima approssimazione del rapporto p tra una circonferenza e il suo diametro, il che permise un buon calcolo della circonferenza e dell’area di un cerchio (noto il raggio) Archimede insegna anche in una sua opera (Sulla sfera e il cilindro) a calcolare la superficie e il volume della sfera, trovando, per primo, le relazioni con le misure di un cilindro circoscritto alla sfera.
Sarebbe però molto lungo enumerare tutti i risultati matematici e fisici raggiunti dal matematico di Siracusa. Per dare un’idea della vastità dei suoi interessi ricorderemo che nelle dodici opere a noi pervenuteci, Archimede si occupa di alcune superficie che noi oggi chiamiamo quàdriche (ellissoide, paraboloide, iperboloide) e risolve alcuni problemi con metodi che serviranno quasi venti secoli dopo per lo sviluppo di quel calcolo infinitesimale che è una delle più importanti conquiste della matematica moderna. Archimede è inoltre il fondatore della statica (a lui dobbiamo il primo studio razionale delle leve e delle loro applicazioni) raggiungendo nell’idrostatica risultati solo da poco superati.
Notiamo infine che anche nel campo dei numeri. Archimede mostrò il suo genio riuscendo ad ottenere, con le famose òttadi (numeri del tipo 108 ; 102*8 sino all'enorme numero108*10^8
che ha ben 800 milioni di zeri) i più grandi numeri considerati nell’antichità classica, e mostrando quella proprietà delle potenze (am * an = am+n) che sarà alla base della scopert~ recente dei logaritmi.
Gli aneddoti che si tramandano riguardo ad Archimede sono troppo noti per essere riportati ancora una volta. Riguardo alla tragica morte che lo scienziato incontrò allorché Siracusa fu conquistata dai Romani con Marcello, Plutarco presenta tre versioni; ciò mostra che già a quei tempi (Plutarco visse tra il 46 e il 120 d. C.) vi fossero incertezze in proposito. Plutarco però non ha dubbi a presentarci Marcello "addolorato dalla sventura che toccò ad Archimede" dicendo:"Tutti gli storici sono però concordi nel dire che Marcello fu molto addolorato dalla sua morte e ritrasse lo sguardo dall'uccisore, quando gli si presentò, come se fosse un essere contaminato. Trovati poi i suoi parenti, li onorò".
Di poco posteriore ad Archimede è un altro grande matematico greco: Apollonio di Perga che (fatta eccezione per Diofanto che si occuperà di algebra anziche di geometria) si può considerare l'ultimo grande matematico greco. Vissuto tra la seconda metà del III secolo a. C. e la prima metà del II, poco si conosce della sua vita. Delle sue opere ce n’è rimasta solo una, fortunatamente la più importante, attraverso la quale possiamo renderci conto dell’alto grado di perfezione cui la matematica greca era pervenuta. Romanzesca è la storia di come quest’opera ci è pervenuta; basti pensare che degli otto libri che compongono le Coniche solo i primi quattro ci sono giunti nella versione greca originale, i successivi tre ci sono noti solo attraverso una versione araba, mentre irrimediabilmente perduto è l'ottavo.
Trascurando però la storia di questo ritrovamento, osserviamo che dalla materia trattata e dal modo con cui questa materia viene esposta, Apollonio ci appare come un grande specialista. Egli non ha forse la versatilità di Archimede, peròò è cosí profondo nella sua analisi da meritare appieno il titolo di "grande geometra" con cui veniva chiamato.
Per accennare solo a qualche risultato da lui raggiunto, diremo che fu proprio Apollonio che per primo ottenne le tre diverse coniche (ellisse, parabola, iperbole) come sezione con un piano di un unico cono, contrariamente a quanto aveva in precedenza fatto Menecmo ottenendo la parabola, l’ellisse e l'iperbole sezionando con un piano ortogonale ad una generatrice le tre superficie di un cono rettangolo, acutangolo, ottusangolo.
Il risultato di Apollonio è assai importante poiché, col fatto che le tre curve potevano ottenersi con un unico cono si potè successivamente osservare che ruotando il piano di intersezione si può passare, con continuità, da un tipo di conica all'altro, come se queste rappresentassero in un certo senso diversi aspetti di una stessa figura.
Questa sensazione sarà alla base di un importante ramo della matematica, e precisamente della geometria proiettiva, che studia appunto quali proprietà si mantengono inalterate attraverso particolari trasformazioni delle figure ottenute con proiezioni e sezioni.
Notiamo anche che nelle formule ottenute da Apollonio per tali coniche non sarà difficile, naturalmente per geni come Fermat e Cartesio, intravedere relazioni che porteranno a quella fondamentale invenzione che è la geometria analitica, la quale rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo della matematica.
La matematica greca aveva raggiunto con Euclide, Archimede e Apollonio il massimo sviluppo di quella geometria che oggi si dice classica. Per ottenere ulteriori sviluppi nella geometria sarà necessario creare strade e metodi diversi che però, come abbiamo visto, già si affacciavano nelle opere di quei grandi matematici greci.
7. LA RISOLUZIONE DELLA EQUAZIONE DI TERZO GRADO
Con metodi geometrici mostrati da Euclide nei suoi Elementi era stato possibile risolvere qualsiasi equazione di secondo grado considerando, naturalmente, come soluzioni solo quelle positive. In realtà la risoluzione delle equazioni di secondo grado è assai remota, essendosi trovato in tavolette babilonesi un procedimento che, pur applicato ad un caso particolare, avrebbe potuto essere esteso facilmente all'equazione generica.
Ma già i Greci, attraverso alcuni famosi problemi geometrici, si erano incontrati (e sarebbe più esatto dire "scontrati") con le equazioni di terzo grado; con le limitazioni però che si erano imposte nelle costruzioni geometriche (uso cio della sola riga e del compasso) e senza un'algebra sviluppata al di fuori della geometria, riuscirono a risolvere solo alcuni casi particolari.
Molto si è parlato dell’algebra araba e delle sue conquiste; in realtà essa, pur impossessandosi dei risultati raggiunti dalla matematica greca (riguardo all’algebra si lessero e si commentarono le opere del fondatore di questo importante ramo della matematica: Diofanto) e pur a conoscenza dei progressi indiani nella scrittura dei numeri (progressi assai importanti per la conquista, di un pratico simbolismo in aritmetica e in algebra), non andarono oltre piccole rifiniture di argomenti già trattati.
Riguardo alle equazioni di terzo grado, ad esempio, gli Arabi riuscirono a risolvere solo particolari casi mediante intersezioni di curve (coniche) ma non riuscirono, essendo forse troppo legati alla matematica greca, a risolvere il caso generale.
Chi dimostrò che la geometria di Euclide non sarebbe stata sufficiente per risolvere le equazioni di terzo grado fu il grande matematico italiano Leonardo Pisano, detto il Fibonacci (figlio di Bonaccio) vissuto alla fine del XII secolo e all'inizio del XIII.
Leonardo Pisano fu sfidato a risolvere vari problemi da un dotto alla corte di Federico II, Giovanni Panormita: tra gli altri vi era la soluzione dell'equazione
X3 + 2X2 + 10x = 20
Ebbene, nella sua opera Flos (Il fiore) Leonardo Pisano diede soluzione estremamente bene approssimata, ma (cosa ancora più importante) mostrò che detta equazione non poteva essere risolta esattamente nè da numeri razionali ne da alcuna delle tredici linee irrazionali che Euclide aveva studiato nel X libro dei suoi Elementi.
In altre parole, con radicali quadratici (anche sovrapposti) quali erano quelli di Euclide, non si poteva effettuare la risoluzione dell'equazione cubica.
Si trattò di una specie di allarme, che non solo svincolò l’algebra dal dominio della geometria, ma contribuì a mettere la soluzione delle equazioni di terzo grado all'ordine del giorno (per dir così), tra i problemi da risolvere. Era la prima volta, ripetiamo, che l’algebra, anziché la geometria, veniva a trovarsi al centro dell'attenzione dei matematici.
D'altronde, risolvendo le equazioni di terzo grado, si sarebbe effettuato per la prima volta un decisivo progresso nei confronti della matematica greca. Non devono meravigliare dunque ne l’impegno con cui si cercò di risolvere il problema, ne tutti i litigi che ebbero luogo per l'attribuzione del merito della soluzione. .
Ancora Luca Pacioli (1445-1514), che aveva riassunto nella sua Summa sia le opere di Leonardo Pisano che i problemi di Alcuino, facendo una utilissima opera di diffusione della matematica, dopo di aver affrontato il problema si arrende considerandolo superiore alle sue forze e scrive: l’arte (cioè l'algebra) non ha possuto finora formare regola generale si come ancora non è dato modo al quadrare del cerchio.
Pochi anni dopo queste parole che avevano avvicinato il problema della risoluzione delle equazioni di terzo grado ad un problema, quello della quadratura del cerchio, che risulterà effettivamente irresolubile (v. pag. 13), il matematico bolognese Scipione Dal Ferro (1465-1526) trovò la soluzione dell'equazione cubica del tipo: X³+ p x = q.
Anche Nicolò Tartaglia (1506-1557), intuita l'esistenza della formula risolutiva attraverso una sfida mossagli da un discepolo di Dal Ferro, cercò, e ritrovò la formula stessa. Successivamente Girolamo Cardano (1501-1576), che aveva avuto la formula da Tartaglia, riuscí a ridurre ogni equazione del tipo generico
aX3 + b X2 + c x + d = O nella forma X3 + p x = q (eliminando quindi il termine di secondo grado) e pubblicò il tutto nella sua Ars Magna (1545), nonostante una promessa fatta a Tartaglia, quando venne a sapere che la formula in questione era opera di Scipione Dal Ferro: ebbe origine così quella serie di litigi di cui abbiamo già fatto cenno.
La risoluzione delle equazioni di terzo grado, facendo superare finalmente la matematica classica e dando fiducia ai matematici nelle loro forze, diede origine a un gran rinnovamento della matematica stessa indirizzandola verso nuove strade. A buon ragione, dunque, si considera la risoluzione delle equazioni di terzo grado l'autentico superamento della matematica classica e il primo atto della matematica moderna: è stato anche detto che tale risoluzione segna il superamento delle colonne d’Ercole matematiche, agli inizi del Cinquecento, ossia pochi anni dopo il superamento delle colonne d’Ercole geografiche con Cristoforo Colombo (1492).
8. VERSO LA GEOMETRIA MODERNA
Con le grandi opere di Euclide, di Archimede, di Apollonio, la geometria greca raggiunge il suo apogeo, presentandosi come un tutto organicamente sistemato in una forma che può dirsi, nel suo genere, perfetta.
Durante i secoli seguenti, in particolare nell’alto medioevo, questa perfezione della geometria antica genera quasi un senso di inferiorità, e le relative opere vengono considerate come qualcosa di insuperabile e di irraggiungibile, piuttosto che come un modello da imitare.
E’ perciò assai notevole che all'inizio del secolo XIII (qualche decennio prima della nascita di Dante) un matematico italiano, Leonardo Pisano, detto il Fibonacci, osi dichiarare di potere far meglio del grande Archimede, sia pure su un punto particolare. Ciò proprio per la determinazione del famoso pi greco, cioè del rapporto tra la circonferenza e il diametro di qualunque cerchio: determinazione che costituisce appunto l'argomento di una delle più celebri opere di Archimede.
Leonardo Pisano precorre i suoi tempi: occorre attendere oltre due secoli perché (anche in relazione all'invenzione della stampa) abbia luogo una maggiore diffusione delle conoscenze matematiche, col perfetto dominio dello scibile matematico degli antichi, e quindi con un conseguente inevitabile positivo progresso delle ricerche.
Nell'algebra il passo decisivo viene compiuto in Italia, agli inizi del secolo XVI, con la risoluzione dell'equazione di terzo grado (v. paragrafo n. 7): nella geometria la svolta decisiva avviene nella prima metà del secolo XVIII coi due grandi matematici francesi Descartes e Desargues.
Renato Descartes (il cui nome venne, alla latina, trasformato in quello di Cartesio) pubblica nel 1632 la sua Geometrie, pressoché contemporaneamente alla pubblicazione dell’opera, svolta in analogo ordine di idee, dell'altro grande matematico Pierre de Fermat. Si tratta della creazione della geometria analitica, ramo importantissimo della matematica che applica alla geometria i metodi dell’algebra, raggiungendo cosi la più grande generalità di procedimenti nella risoluzione dei problemi geometrici. Per esempio, sul piano si fa corrispondere a ciascun punto una coppia ordinata di numeri, che ne costituiscono le coordinate (dette appunto cartesiane). Se si considera allora un’equazione (indeterminata) a due incognite, essa ci dà infinite coppie di numeri (le sue soluzioni), ossia infiniti punti del piano.
Quell’equazione viene quindi a rappresentare infiniti punti del piano che si susseguono secondo una certa legge: cioè rappresenta un luogo geometrico. Ad esempio, un’equazione di primo grado a due incognite: ax + by + c = O rappresenta, in quest’ordine di idee, una linea retta. Ecco dunque che allo studio geometrico delle linee (rette e curve) si sostituisce lo studio algebrico delle equazioni. E analogamente per le superficie.
Ma nello stesso secolo XVII, accanto a questa aritmetizzazione della geometria, si ha pure un risveglio della geometria pura con Girard Desargues (1593- 1662). Si tratta di teorie che si riannodano a quelle esposte dal tardo matematico greco Pappo (il quale forse riecheggia dottrine di Apollonio) e attingono alle idee nuove dei prospettivisti, in una originalissima sintesi organica. Queste idee vengono poi riprese all’inizio del secolo XIX dai matematici Poncelet, Monge ed altri, dando così luogo a quel ramo della geometria che prende il nome di geometria proiettiva.
La geometria si estende poi immensamente nel secolo XIX e nel nostro: ci limitiamo a citare alcuni nuovi rami: geometria differenziale, geometria algebrica, topologia. Il sorgere delle geometrie non-euclidee ha allargato gli orizzonti della matematica riuscendo pure a stabilire la sua vera natura: quella di sistema ipotetico-deduttivo, cioè (come si preferisce dire oggi) la sua natura assiomatica.
Una visione unitaria della geometria è poi quella presentata in forma " programmatica " dal matematico Felix Klein: i vari rami della geometria sono quelli che considerano quelle proprietà geometriche che non variano (sono cioè invarianti) attraverso trasformazioni di vario tipo. Così, per esempio, la geometria elementare euclidea studia le proprietà invarianti rispetto a quelle trasformazioni che si possono indicare col termine movimento.
E la geometria proiettiva ha per oggetto di studio quelle proprietà che sono invarianti attraverso operazioni di proiezione e sezione. E così via.
E’ questo un fugacissimo cenno: ma saremo ben lieti se esso potrà destare nel lettore ben disposto il desiderio di studiare in seguito le moderne teorie geometriche.